Le Maschere di Mascagni è un’opera basata sulla commedia dell’arte, il “simbolo dello spirito italico” (Mascagni). La commedia dell’arte includeva personaggi originali, improvvisazione verbale e trame molto elaborate. Libri di scenari e maschere facevano parte dell’attrezzatura. Le trame, in genere complesse, raccontavano i problemi di rapporti intimi e familiari, come quello tra padre e figli, fratelli e sorelle, marito e moglie e amanti illeciti.
La commedia dell’arte era stata molto popolare nel sedicesimo e diciassettesimo secolo, ma nel 1890 era solo un lontano ricordo. Quindi, perché Mascagni ha deciso di impostare sulla commedia dell’arte la sua composizione?
Una risposta ce la scrive lo stesso Mascagni.
“Oggi il pubblico va a teatro per rendersi infelice, per rovinarsi digestione con emozioni violente … Noi, gli autori, non sappiamo più ridere sul palco”. (Mascagni)
La decisione del compositore di scrivere un’opera comica non è solo un atto di coraggio artistico ma anche una voce di polemica sullo stato dell’opera.
Ma Le Maschere di Mascagni non vengono capite e diventano oggetto di polemiche e derisioni già al loro debutto. Ciò anche a causa della decisione lanciare l’’opera in ben sette teatri della penisola italiana.
Il 17 gennaio 1901, dopo una raffica di pubblicità, Le Maschere ebbero le loro sei prime in sei teatri italiani. Dovevano essere sette, ma la performance napoletana fu rimandata di due giorni per la malattia del tenore Anselmi.
Questi i sei teatri che hanno ospitarono le prime di Le Maschere: il Teatro Costanzi a Roma, La Scala di Milano, La Fenice a Venezia, il Regio di Torino, il Carlo Felice a Genova e il Filarmonico a Verona. L’opera fu rappresentata nel San Carlo di Napoli due giorni dopo.
Mascagni era il direttore a Roma con un cast che includeva Celestina Boninsegna, Bice Adami e Amedeo Bassi. A Milano l’opera fu diretta da Toscanini con Caruso come Florindo e Carelli come Rosaura.
L’opera fu un successo solo a Roma. Negli altri teatri forse fu il fiasco più spettacolare nella storia dell’opera italiana, rimpicciolendo (per dimensioni) il disastro di Madama Butterfly tre anni dopo.
Ma diamo un’occhiata a quello che è successo nelle diverse città.
A Genova la performance fu sospesa perché i fischi della disapprovazione del pubblico erano così forti durante l’ultimo atto da rendere da coprire la voce dei cantanti.
Un critico dello spettacolo milanese scrisse che “il pubblico sembrava catturato solo da un indomito furore”. Il pubblico urlò e fischiò durante l’opera accusando l’autore di plagio e ripetizioni di cose già sentite. Una voce dal pubblico gridò “La bohème!”, un’altra le rispose “Viva Puccini”. Alla fine dell’opera il pubblico era talmente stanco da lasciare il teatro senza applausi o proteste. A Torino, Venezia e Verona l’esito fu stato leggermente migliore.
Insomma, come scrisse lo stesso autore: “ Credevo di avere in mano il settebello e invece mi vien fuori il sette…brutto! “ (Mascagni)